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Caravaggio e l'Ecce homo ritrovato: lo studioso cesenate Massimo Pulini svela tutta la verità sull'opera

È un Caravaggio? La certezza arriva dal cesenate Massimo Pulini, docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna, scrittore, pittore e autore di una scoperta sensazionale che aggiunge una nuova pagina alla storia dell’artista italiano più controverso di sempre, Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Il professor Pulini, già Assessore alla Cultura del Comune di Rimini, ha riconosciuto la mano di Caravaggio nel dipinto raffigurante l’Ecce Homo che, come chiarito dallo stesso autore della formidabile scoperta, è l’autentico presentato al famoso ‘concorso Massimi’ cui Merisi prese parte intorno al 1605, a pochi anni dalla sua morte avvenuta nel 1610, e oggi al centro di un dibattito che divide il mondo dell’arte.

L’8 aprile scorso la casa d’aste Ansorena di Madrid avrebbe battuto all’asta per soli 1.500 euro un dipinto che ben presto si è rivelato essere un capolavoro di Caravaggio. Improvvisamente l’opera è scomparsa dal sito della casa d’aste e il governo spagnolo l’ha «requisita», stabilendo che per il suo valore non potrà lasciare il Paese.

Venerdì 18 giugno, alle 18, nella Sala Sozzi del Palazzo del Ridotto, sarà lo stesso Pulini a raccontare le fasi del ritrovamento e tutte le ragioni che riportano quest’opera alla mano del pittore italiano più geniale e irrequieto di sempre. A intervistare lo storico cesenate sarà la giornalista Elisabetta Boninsegna. L'incontro sarà introdotto dall’Assessore alla Cultura Carlo Verona. (E’ consigliata la prenotazione. Per info e prenotazioni 0547 610892 oppure scrivere a prenotazioni@comune.cesena.fc.it).

Inizialmente l’Ecce Homo è stato attribuito alla cerchia di José de Ribera (Spagnoletto), esattamente descritto come “Incoronazione di spine”, eseguito a olio su una tela di cm. 111 x 86, sul quale però Pulini non ha dubbi e in un saggio pubblicato su aboutartonline.com ne spiega le ragioni e assegna alla mano di Michelangelo Merisi. Pulini ritiene infatti che si tratti di un quadro molto famoso, commissionato da Massimo Massimi nel 1605 e che il pittore si era impegnato a eseguire con soli trentasei giorni a disposizione.

Siamo nel loggiato del Sinedrio di Gerusalemme, il luogo dal quale i sacerdoti e i consiglieri comunicano col popolo ebraico. A basamento e margine della tragica scena rappresentata ci sono due semplici cordoli di pietra sporgenti, uno a sezione circolare e l’altro a taglio squadrato, delimitano la cornice che corre per tutto il lato inferiore del dipinto accennando infatti alla balaustra di una loggia. Un uomo che ha lunga barba ed è cinto di un copricapo a scodella tiene il gomito appoggiato sopra al parapetto e il suo sguardo è rivolto fuori dal quadro, mentre i gesti sono impegnati a mostrare alla folla un arrestato, sofferente e chiuso nella propria rassegnazione. Il petto di Gesù è sporco di sangue e segnato da lividi che affiorano da sotto la pelle, dunque gli è già stata inflitta una tortura, ma a quella violenza, eseguita a flagello, si è aggiunta la derisione gratuita. L’artista ha immaginato un giovane dall’espressione sinceramente stupita, lo ha posto alle spalle di Gesù nell’atto di ricoprirlo con un mantello rosso e a guardare bene le due mani del sacerdote in primo piano indicano entrambe proprio il panno purpureo. Potremmo così intuirne le parole sapendo che quel colore, al tempo antico della storia, è simbolo e prerogativa del potere romano, che domina e amministra la terra d’Israele. Un Ecce Homo quindi, viene presentato alla folla e a quella verrà infine domandato se preferisca liberare costui o il brigante Barabba, nella ‘magnanima’ concessione di una e una sola grazia, in vista delle celebrazioni pasquali.

Secondo un pittore italiano di primo Seicento, questa è l’essenziale messa in scena della vicenda evangelica, sul palco ci sono tre figure, qualche oggetto e due coordinate spaziali, ma alla descrizione compositiva del quadro resta da aggiungere il sentimento profondo che ne muove il racconto notturno. Siamo nel cuore di quell’esistenza umana che è stata elevata a rango divino, ben sopra dunque al ruolo di “Re dei giudei”, ma in questo momento il condannato è l’ultimo degli uomini, in balia di un potere che lo usa al pari di un burattino, un fantoccio vivente da mostrare al pubblico ludibrio. La risposta a queste ingiurie l’artista la interpreta con una nuova idea morale, raffigura una mestizia malinconica che si traduce in fierezza segreta, opposta all’enfasi chiassosa dei denigratori. Eppure non si caricano nemmeno di un cenno le espressioni degli ingiusti, del giovane soldato a bocca aperta che quasi sperimenta l’incanto di trovarsi per la prima volta nel pulpito, acclamato dal popolo, così come non è sguaiato il volto del sacerdote, che nei vangeli svolge il ruolo più determinante al concretizzarsi della condanna. È lui l’incitatore della folla, ma non viene penalizzato da alcuna caricatura pittorica. Come se l’autore del quadro aderisse alla compostezza di Gesù.


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