Segnalazioni

Come si pronuncia il nome della nostra città in dialetto? Un cittadino: "Nel cesenate si dice Ciṣàina”

Dice il lettore Maurizio Benvenuti nella sua segnalazione riguardante il nome di Cesena in dialetto (QUI L'ARTICOLO): "Ciṣàina è il nome di Cesena in cesenate. La lingua romagnola è formata da tante parlate simili riconoscibili geograficamente grazie ad aspetti fonetici caratteristici e il suono tipico della variante cesenate è rappresentato dal dittongo “ài” grazie al quale i cesenati erano immediatamente distinguibili in ogni parte della Romagna. La consultazione in progetto per decidere come chiamare Cesena adesso in lingua locale è fuorviante perché di madrelingua romagnoli ne sono rimasti pochi e gran parte dei possibili votanti è costituita da chi l’ha imparata nei bar della città, dove veniva usata di solito in modo degradato o a scopo deliberatamente vomitatorio, ed è da lì che provengono gran parte degli attuali “esperti” o “poeti dialettali”.

Chiedere a dei ragazzini di 16 anni, poi, è una forzatura deliberata. Il referendum stesso è una falsa prova di democrazia perché il nome di “Ciṣàina”, che non è affato antiquato ma quello legittimo dei cesenati che sanno ancora parlare la loro lingua d’origine, perderebbe e si perderebbe questa parola una volta per tutte. Se la consultazione si facesse tra dieci anni vincerebbe la versione: Cesena, che fa presa tra gli ultimi pretesi romagnofoni e di cui Ciséna ne è la via di mezzo. Le modifiche nel tempo della lingua popolare sono state di natura evolutiva fino agli anni ’60, dopodiché ne hanno segnato il disfacimento.

Linguisticamente, la parlata di Cesena rappresenta un caso unico in Romagna perché, pur appartenendo al gruppo dei dialetti occidentali (Imola-Faenza-Forlì-Ravenna), ha adottato da secoli alcune soluzioni fonetiche proprie della fascia geografica dei dittonghi (Rubicone) sviluppando suoni come: “ài” ed “éi” e rappresentando in questo modo un ponte per una eventuale unificazione linguistica con il gruppo dei dialetti orientali (Rimini).

La correttezza della lingua sarebbe meglio affidarla a dei linguisti e proprio adesso ce n'è qualcuno che sta lavorando alacremente sul nostro territorio raccogliendo un'infinità di testimonianze scritte e registrate dal quale ne uscirà a breve un grosso volume. L’ondata di ignoranza generalizzata seguita alla distruzione delle lingue territoriali ha sostituito la coscienza popolare con una sudditanza vergognosa e “e’ marchè” (il mercato coperto) è diventato, grazie a delle targhe d’ottone che lo titolavano trombonescamente “foro annonario”, “e’ fóur” (il buco) in una lingua che non esiste.

La dimostrazione dello spessore culturale e delle capacità critiche di cui dispongono i nuovi “cesenati” l’ho avuta poco tempo fa quando ho chiesto notizie a un negoziante di via Zeffirino Re (in origine: “Strèda dal glj Urtlàini”) sul personaggio al quale era intitolata la strada, al ché ha spalancato gli occhi: “Come chi era, un re, no? Zeffirino... Re, eh!”, ha aggiunto un “Nz!” e si è girato dall'altra parte scuotendo la testa. Zeffirino Re nella realtà è stato un signor nessuno ed è normale che nessuno lo sappia, come nessuno sappia delle Ortolane, in una città che si è strappata le radici da sotto e non ricorda nemmeno il proprio nome."


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